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Quando, con drammatica ripetitività, la cronaca ci riferisce di un uomo che uccide la sua compagna per poi magari colpire a morte anche se stesso, ognuno di noi sente che quella violenza è - insieme - tanto distante e tanto vicina. È invitabile perciò che ci si interroghi sulle ragioni che hanno condotto quella coppia ad una fine così tragica. Molti dicono che non può essere amore, che, anzi, l'amore è il contrario della violenza: è il desiderio di proteggere e di abbandonarsi, di corteggiare e di attendere; è la passione in seguito alla quale si vuole - innanzitutto - la felicità dell'altro e, in nome di ciò, si sacrifica ogni cosa. E se non fosse così? E se invece le cause della violenza fossero intimamente connesse con quella forma particolare di amore che prende il nome di romanticismo? Se, al di là dei fiori, delle canzoni struggenti, delle dichiarazioni appassionate, dei sospiri e delle lacrime ci fosse l'imposizione di un legame che prevede la definizione dei ruoli e la sottomissione? Seguendo questa ipotesi inconsueta, uno psicoanalista e una regista, un uomo e una donna, hanno scritto questo saggio e questa pièce sull'amore da cui emerge come la violenza non sia altro che il lato osceno dell'amore romantico ma che essa sia così cruda ai giorni nostri proprio perché le sue ore sono contate: nuove forme di amore, più libere, più emancipate, meno esclusive sembrano dire, nel nome di un narcisismo maturo, che il tempo dell'amore romantico è scaduto.